Tutti parlano della Cina come nuova frontiera per l’industria del vino. Chiacchiere tante, finanziamenti a go-go, risultati assai modesti, praticamente un flop di proporzioni imbarazzanti. Le cause? Le spiegano gli stessi cinesi. “Chi arriva prima si mangia la torta”. È un detto cinese ma anche la sintesi delle difficoltà del vino italiano in Cina spiegate da Zuming Wang, il vicesegretario generale del dipartimento governativo per la legislazione sugli alcolici in Cina (Chinese Alcohol Bureau), intervenuto oggi al wine2wine di Veronafiere, come si legge in una nota. Durante il convegno Business Strategies “Il mercato del vino in Cina: quali sviluppi?”, il funzionario ha analizzato le ragioni che pesano sul posizionamento del prodotto made in Italy nel mercato cinese, al quinto posto dopo Francia, Australia, Cile e Spagna, con una micro-quota pari a un ottavo di quella dei concorrenti d’oltralpe (5,6% contro il 43,3%): “I vini italiani sono poco promossi e poco conosciuti – ha dichiarato Wang –, io stesso conosco solo Barolo e Prosecco. I vostri competitor sono arrivati prima, hanno capito il mercato e ora ne detengono le fette maggiori. Il margine di sviluppo è però ancora molto ampio e la torta non è completa – ha proseguito – per questo anche per l’Italia le possibilità ci sono”. Ma la varietà delle denominazioni, la lunghezza e la complessità dei nomi rendono i vini italiani di difficile comprensione per i consumatori cinesi. Su questo tema è intervenuto anche Tao Weng, vice general manager dello Shanghai Morning Post (Shanghai United Media): “I francesi hanno saputo adattare il loro prodotto al mercato, cambiando i nomi in parole cinesi dal significato evocativo, semplici e facili da ricordare, come lo Chardonnay che viene chiamato ‘perla al tramonto’”. Una strategia che i produttori italiani potrebbero adottare, ma non del tutto sufficiente. “La cucina cinese porta in tavola molte portate diverse contemporaneamente – ha continuato Weng –, una tradizione che rende difficoltosi gli abbinamenti enogastronomici e che impedisce alla ristorazione di diventare un canale di penetrazione efficace e capillare. Per la sua vocazione internazionale, la quantità di ristoranti e la capacità di intercettare i trend, forse è Shanghai la piazza più interessante in questa direzione”.