Il Lago Maggiore è tra le aree storiche del turismo italiano, ovvero una delle culle dell’industria delle vacanze dell’Italia. Il Comune di Arona (Novara) ha deciso di rilanciare sul binomio turismo e cultura facendo leva peraltro su un patrimonio storico-architettonico d’eccezione e sulla grande famiglia dei Borromeo. Arona – come ricorda il sindaco Alberto Gusmeroli – si sta presentando al pubblico mondiale. Pubblico dei potenziali turisti, dei tour operator, degli uomini di arte e cultura e degli investitori. Non a caso il debutto è avvenuto a New York a inizio giugno, con ambasciata italiana e Ice sparring partner, dove Arona ha presentato i progetti di recupero e valorizzazione storico-turistica della Rocca dei Borromeo. Stasera incontro ad Arona, con l’Executive Director dell’Institute for Digital Archaeology di Oxford Roger Michel e i rappresentanti della famiglia Borromeo, e l’architetto Salvatore Simonetti autore del progetto di recupero. Prossima tappa Londra e Oxford, tra il 4 e il 5 agosto con incontri con tour operator, studiosi e ricercatori. Per Arona anche una vetrina durante i festeggiamento per l’anniversario dell’Istituto di Archeologia digitale con il quale è stata anche organizzata la mostra dell’Arco di Palmira. “Vogliamo cogliere opportunità per il nostro territorio e favorire l’incoming turistico – dice Gusmeroli – che malgrado la crisi economica ha visto la nostra città in controtendenza assoluta per cui nel 2016 gli arrivi sono cresciuti del 8,2% rispetto al 2015 e nel primo semestre del 2017 un vero e proprio boom con una crescita del 22,17% rispetto all’analogo periodo dell’anno 2016″.
In epoca antica – si legge in un nota – la Rocca Borromea di Arona (nella foto) era uno dei principali punti di controllo strategici del Lago Maggiore. La fortezza venne fondata prima dell’anno mille sotto il controllo dei Longobardi e adibita a scopo difensivo, nel 1227 divenne poi proprietà dei Visconti. Due secoli dopo, precisamente nel 1439, Filippo Maria Visconti la cedette come feudo a Vitaliano I Borromeo e da quel momento rimase in mano alla Famiglia per ben quattro secoli, dando addirittura i natali al futuro cardinale San Carlo Borromeo nel 1538. La storia della fortezza termina nel 1800 quando l’esercito Napoleonico ricevette l’ordine di distruggere alcune fortificazioni occupate dagli Austriaci; da quel momento della Rocca di Arona rimangono solo alcuni resti.
Come spiega Salvatore Simonetti l’avvio del restauro e della riqualificazione funzionale della Torre Mozza è un buon esempio non solo di restituzione alla collettività di una testimonianza costruita ma soprattutto il primo tassello di un nascente sistema museale “archeologico” in grado di promuovere e valorizzare l’intero contesto migliorandone la capacità di attrarre visitatori. La prossima azione, finalizzata alla creazione del sistema “museo”, e quello di riportare alla luce ciò che rimane sepolto della Rocca: a tal fine è stato avviato un progetto di ricerca archeologica, che vede coinvolti diversi enti pubblici e privati (Proprietà, Comune, Politecnico di Milano, Università Cattolica, Associazione Musei d’Ossola e professionisti del settore). Gli scavi archeologici inizieranno nell’estate 2018, dopo una prima fase di studi, e si concluderanno nel 2020. Per quanto riguarda le mura della sala D’Armi, il loro recupero, oltre a prevedere la restituzione in sicurezza della più importante testimonianza costruita ancora visibile della Rocca , diventerà anche occasione per la realizzazione di un allestimento museale in grado di armonizzare le esigenze della conservazione e quelle della comunicazione, spesso complementari, traducendole in architetture di percorso e soluzioni espositive e comunicative funzionali e culturalmente stimolanti. La proposta progettuale di recupero delle mura prevede infatti anche la realizzazione di strutture ricettive in grado di ospitare e accogliere i visitatori (Centro di interpretazione della Rocca, bookshop/caffetteria) e allestimenti innovativi con tecnologie applicate alla fruizione del patrimonio archeologico quali la “fotografia immersiva”.