Su Napoli e Paestum l’Italia si gioca la faccia con l’Unesco

L’Italia – si ripete da sempre – ha la maggior concentrazione di beni culturali al mondo: beni storici, artistici, archeologici. Di recente il neodirettore di Brera (Milano) l’anglo-canadese James Bradburne seduto accanto al ministro Dario Franceschini ha affermato chiaramente, in lingua italiana, che il nostro Paese è un modello di tutela, ma non di valorizzazione dei beni culturali. In questi giorni è esploso il caso delle proteste locali per la centrale elettrica di Paestum (sito greco del Patrimonio Unesco), in provincia di Salerno. La Regione Campania farà sapere cosa può fare. Nuove polemiche a Napoli per le contestazioni mosse, sempre dall’Unesco, alla gestione del piano di risanamento e valorizzazione del grande centro storico del capoluogo partenopeo, anch’esso Patrimonio dell’Umanità. Si ipotizzano ritardi, presunte omissioni. Va detto che il nostro Paese, che si accinge a candidare le fortificazioni veneziane – con l’elemento chiave delle Mura di Bergamo – a patrimonio dell’Umanità, può annoverare dei passi importanti. Firenze ha applicato le regole Unesco per il centro storico iniziando a razionalizzare la presenza dei piccoli esercizi e della somministrazione alimentare. Ne è venuto fuori uno slogan – no kebab – semplicistico ma efficace per sottolineare che anche la rete del commercio e dei pubblici esercizi a norma è parte integrante delle aree sotti l’egida del patrimonio Unesco. E anche Venezia si appresta a intervenire. Su Napoli e Paestum invece servono posizioni chiare e scelte coerenti, che coniughino investimenti, sviluppo, tutela e valorizzazione. Ma soprattutto l’Italia dovrebbe  essere un modello di gestione del Patrimonio Unesco per gli altri Paesi. Colpiscono, sotto questo profilo, le polemiche sui fondi per i beni culturali. Al Sud oggi c’è una dote di oltre 500 milioni di euro. Non pochi. Fa bene Ercolano a dire che si studiano progetti a costo zero. Pistoia ha oggi una grande responsabilità. Aggiungerei che bisognerebbe catalizzare più investimenti privati o di Fondazioni, e rendere chiari e tangibili i risultati degli investimenti. Interessante ad esempio in questi giorni il confronto che si sta sviluppando a Brescia sulla valorizzazione del patrimonio locale. Ma, ci si potrebbe chiedere, Pompei val bene una nuova stazione ferroviaria?