Milano è sicuramente – insieme a Torino – la città che meglio esprime in Italia le trasformazioni sociali. Credo che il punto di svolta sia stato negli anni 80 l’operazione Bicocca, la grande fabbrica-quartiere che rivive con una mega-operazione immobiliare basata su Università, ricerca, spazi per la creatività, shopping e residenze qualificate. È così via via – a fasi alterne – con una dinamica di fondo reso una terziarizzazione spinta è diffusa. Il Salone del mobile, una volta vetrina e celebrazione della brianzola (e non solo naturalmente) vocazione all’arresto domestico si è rivelato un enorme evento di godimento collettivo. Il fuori-salone ha trasformato la città – estendendosi anche a realtà urbane limitrofe – facendo emergere sempre di più vocazioni profonde e diventando un esteso ed aperto market-place diffuso. Al tempo stesso Milano si è riscoperta una città a vocazione turistica spinta, sull’onda dell’Effetto Expo – che ha messo il turbo – gli alloggi privati per affitti brevi a turisti hanno surclassato gli alberghi diventando un fenomeno sociale allargato. Del fuori-salone mi ha poi colpito il fatto che moltissimi designer stranieri hanno colto l’opportunità di essere presenti facendo leva su quei temporary shop che hanno sopperito alla crisi del commercio tradizionale. Non è che il Salone ci stia sfuggendo di mano? Non so. Certo si sta trasformando. E ha dato una spinta profonda anche alla trasformazione di Milano in città sempre più godona e piaciona, votata alla movida. Una città dove è corsa all’affittacamere. Interi stabili diventano suites e condohotels. Potenza di internet. Chi ha uno spazio in casa lo fitta al turista interessato. Bene. Il tutto condito dal fatto che Milano è probabilmente il principale polo universitario italiano e forse tra i principali d’Europa. Però resta un trampolino. Molti poi se ne vanno. Italiani all’estero. Stranieri in patria o in giro per il mondo. La campagna elettorale per il Comune dovrebbe dare delle risposte a tutti questi spunti. A Palazzo Marino dovrebbero capire bene dove va la città. E soprattutto dovrebbero delineare delle strategie. Chissà cosa avrebbe pensato Enrico Cuccia, forse al posto dei salotti buoni oggi si ritroverebbe a elaborare iniziative finanziarie in un ristorante di design, tenuto da uno chef stellato e magari con interlocutori ospiti in bread&breakfast top class?
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