Si infittiscono i casi di malumori dell’Unesco per la gestione dei siti italiani. Finora nessuna bocciatura formale ma rischiamo grosso. L’ultima contestazione riguarda Venezia, la gestione della città, le indecisioni sulle grandi navi nella Laguna. Ma in realtà i malumori dell’Unesco sono diversi: rischia Vicenza, per i lavori pubblici e le infrastrutture, Torino per la Cavallerizza, Napoli per i progetti mai realizzati nel centro storico e i fondi non spesi, riserve sulle Dolomiti e la Marmolada per interventi e impianti, faro su Paestum per i progetti di impianti energetici e su Crespi d’Adda per le iniziative di rilancio del sito e i possibili insediamenti di imprese private. Ma l’Italia che è leader – non si sa però per quanto tempo ancora – dei siti Unesco nel mondo dovrebbe essere un modello di gestione. Ma possibile che si arrivi alle contestazioni senza che nel nostro Paese accada nulla? Una bocciatura formale sarebbe uno schiaffo molto forte nel momento in cui l’Italia si propone per un ruolo leader nel Mediterraneo nell’ambito degli investimenti nel turismo sostenibile, ad esempio. Più che sulle contestazioni occorrerebbe riflettere sul perchè si arrivi a tanto e sulle motivazioni che in molti casi portano a una gestione carente dei siti, carente sul piano della conservazione e della salvaguardia ma anche della valorizzazione. Dovremmo essere il faro, il modello per tutti gli altri siti nel mondo, invece dobbiamo temere a ogni visita degli ispettori Unesco. Il rilancio deve invece partire dall’Italia.
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